giovedì 25 settembre 2008

Bolivia, un neofascista italiano per la strage di Pando?

Tregua armata, in un certo senso. La situazione della Bolivia resta tesa, anche all'indomani della decisione dei movimenti sociali che sostengono il presidente Evo Morales di sospendere le mobilitazioni, per dare tempo ai prefetti oppositori di accordarsi col governo. C'è tempo fino al 15 ottobre per garantire il referendum di ratifica della nuova costituzione, voluto dal presidente indio, e per il quale si stanno spendendo, a suon di proteste e blocchi stradali, gran parte dei suoi sostenitori.

La situazione era particolarmente tesa a Santa Cruz, roccaforte dell'opposizione, dove ieri i membri dei movimenti filo-governativi avevano intenzione di occupare la piazza 24 Settembre, in occasione del 198/o anniversario dalla cacciata degli spagnoli dalla città. E per dirimere le spinose questioni si è riunito ieri a New York il vertice dell'Unasur (l'Unione delle nazioni sudamericane), convocato d'urgenza dalla presidente cilena Michelle Bachelet.

Come nel meeting di 10 giorni fa a Santiago del Cile, concluso con la cosiddetta "Dichiarazione della Moneda" in cui i capi di stato sudamericani hanno manifestato il loro sostegno a Morales, anche ieri si è caldeggiata la via del dialogo per mettere fine alle discordie interne. Il presidente ha parlato di "cospirazione permanente di piccoli gruppi contro un processo di cambiamento verso la democrazia"; un processo riassunto "nella lotta tra poveri e ricchi, del socialismo contro il capitalismo".

In realtà la questione è più complessa. E riguarda le risorse petrolifere di cui la Bolivia dispone. E' anche per questo che la provincia di Santa Cruz è la più ribelle e sembra voltare le spalle al governo, cercando di ottenere maggiore autonomia nella vendita delle risorse, magari strizzando l'occhio alle compagnie americane o europee.

I negoziati di Cochabamba hanno per ora prodotto un patto fiscale per la distribuzione delle royalties frutto della vendita di idrocarburi, ma le parti (prefetti locali e governo) sono ancora lontane sul modo di inserire le aspirazioni autonomiste dei dipartimenti nella nuova Costituzione approvata in dicembre. E se da un lato Morales insiste per una maggiore autonomia dai mercati globali, rivendicando la gestione autoctona anche delle proprie risorse, non va dimenticato che due anni fa la Bolivia chiese di entrare nell'Opec, e di sedersi al tavolo dei grandi produttori petroliferi. Forte dello slancio iniziale e dell'appoggio della sua gente, Morales sta provando a forzare la costituzione, mutandola in chiave accentratrice e sottraendo autonomia alle regioni, le stesse che flirtavano con le imprese straniere, seguendo così l'esempio di Hugo Chavez, anzi, quasi proteggendosi sotto l'ombrello di popolarità del discusso leader venezuelano.

Il muro contro muro ha chiaramente effetti che si allargano in tutto lo scacchiere. Gli Stati Uniti non stanno a guardare, ancor più dopo la provocazione dello scorso 11 settembre, quando Morales ha espulso dal paese l'ambasciatore americano. L'accusa del presidente boliviano è di appoggiare i tentativi di golpe, Washington di contro ha minacciato "conseguenze serie", e per prima cosa ha inserito la Bolivia nella lista nera delle nazioni che non collaborano nella lotta al narcotraffico. Così è forte la tentazione che non tutti i nodi siano ancora venuti al pettine, e che benché forte dell'appoggio di parte della sua gente, Morales abbia cominciato un gioco di sfide e di provocazioni che potrebbero anche piano piano isolarlo.

I contorni internazionali della crisi vengono alimentati anche da nuovi particolari sulla strage di Tres Barrancas, il massacro dell'11 settembre scorso in cui hanno perso la vita 30 contadini, che si stavano recando ad un corteo pro-Morales. Del commando avrebbe fatto parte anche Marco Marino Diodato, neofascista italiano, 50enne ex parà abruzzese, un personaggio oscuro e controverso da tempo in Bolivia (era il genero del generale Banzer, presidente boliviano dal 1971 al 1978 dopo un colpo di stato, e poi di nuovo dal 1997 al 2001). Imprenditore, accusato di narcotraffico, riciclaggio e di omicidio della pm che indagava su di lui, sospettato di addestrare paramilitari e di essere in rapporti con i servizi americani, un tempo al soldo anche del dittatore Franco in Spagna e poi di Pinochet in Cile.

Secondo i giornalisti Michel Irusta e Wilson Garcia Merida, sarebbe stato Diodato uno dei capi degli squadroni che hanno organizzato l'eccidio, e che avrebbe le prove della sua permanenza in quelle regioni per contattare le squadra paramilitari che hanno agito. Diodato avrebbe rapporti di affari anche con il prefetto della regione di Pando, Leonel Fernandez, facente parte anch'egli dell'organizzazione, così come (sostengono i giornalisti) Ruben Costas, prefetto di Santa Cruz e molti esponenti dei comitati civici della regione.

ALESSANDRO CHIAPPETTA

AGENZIA RADICALE

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